Messaggio pasquale 2017

Tre giorni per il pianto. Non di più. È uno dei momenti più movimentati dei Vangeli, la corsa - col cuore in gola - di un giovane e di un anziano che, senza dirsi nulla, si fiondano al sepolcro pensando: «No, non ci posso credere. Non può finire così». Maria di Magdala li aveva avvertiti: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!», ed ora Giovanni e Pietro vanno a verificare, attraversati da mille supposizioni, quelle che noi siamo abituati a coltivare per ogni fatto non chiarito. E immaginiamo che pensano a tutto, tranne naturalmente che lui potesse essere risorto. Normale che per un tratto corrano appaiati, come mostra il quadro di Burnand. Poi, com'è normale che sia, il più giovane stacca il compagno e arriva primo (lo confesserà in tarda età, con la tipica sfrontatezza giovanile e senza tacere d'aver lasciato entrare per primo il meno giovane). Alla vista delle fasce e del sudario messi in quel modo - segno che era vivo e che non poteva essere stato trafugato -, il «Non ci posso credere» si muta in «Ci credo». La corsa di Giovanni e Pietro si compie grazie a Maria di Magdala, che non appare con i due discepoli, ma è proprio grazie a lei, donna sveglia, che loro due si sono svegliati. E non ci sorprende ritrovarla nel racconto di nuovo lì, «all'esterno, vicino al sepolcro», in lacrime. E Gesù le rende l’onore che merita, mostrandosi a lei prima che agli altri, chiamandola per nome e affidandole le parole da dire ai fratelli. Ma soprattutto dobbiamo dire che Maria riconosce Gesù sentendosi chiamare per nome, e quando la sua voce la raggiunge può finalmente comunicare: «Ho visto il Signore»! E’ stata la prima a poterlo dire nella storia. Da lei è partita una successione di testimoni e di apostoli che è giunta fino a noi. Siamo tutti chiamati a inserirci in quella catena e a somigliarle quando ci sarà dato di affermare gioiosamente: «Io credo in Gesù, io credo nel Dio di Gesù Cristo, risorto dai morti». La corsa dei due discepoli è un’immagine adatta a descrivere la nostra ricerca di Gesù, alla quale siamo continuamente chiamati. Così come la “sveglia”, messa in atto da Maria di Magdala verso i due discepoli, ci fa sperare di incontrare persone che ci conducano a fare esperienze di fede nelle quali riscontrare le parole del Prefazio pasquale, quando afferma che a Pasqua “rinascono a vita nuova i figli della luce” e “in lui risorto tutta la vita risorge”. Pasqua infatti viene dopo “Passione e morte” che ci accompagnano sempre, ma sempre ci accompagna anch’essa. E ogni giorno può diventare quel “mattino di Pasqua”, esperienza che rende Maria di Magdala non solo assettata di verità ma anche di luce. Una luce che quando è cercata dall’amore – corro perché sono appassionato al “mio” Signore e desidero ascoltarlo e vederlo -, mi rendono testimone della sua risurrezione. Tre giorni sono ammessi per il pianto. Non di più. Perché anche il buio va custodito e le tenebre hanno i loro tempi. Ma dopo abbiamo bisogno che qualcuno «in vesti sfolgoranti» ci dica che non esiste pietra che non possa essere spostata: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». La tenebra diviene luce, la morte non sarà la fine. Lui l’aveva detto, bisognava solo farne memoria. Anche oggi, nessuna tomba e nessun buio, vissuti nella fede sono definitivi. La Pasqua, invece, è per sempre. + Antonello Mura

Tre giorni per il pianto. Non di più.

È uno dei momenti più movimentati dei Vangeli, la corsa – col cuore in gola – di un giovane e di un anziano che, senza dirsi nulla, si fiondano al sepolcro pensando: «No, non ci posso credere. Non può finire così». Maria di Magdala li aveva avvertiti: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!», ed ora Giovanni e Pietro vanno a verificare, attraversati da mille supposizioni, quelle che noi siamo abituati a coltivare per ogni fatto non chiarito. E immaginiamo che pensano a tutto, tranne naturalmente che lui potesse essere risorto.
Normale che per un tratto corrano appaiati, come mostra il quadro di Burnand. Poi, com’è normale che sia, il più giovane stacca il compagno e arriva primo (lo confesserà in tarda età, con la tipica sfrontatezza giovanile e senza tacere d’aver lasciato entrare per primo il meno giovane). Alla vista delle fasce e del sudario messi in quel modo – segno che era vivo e che non poteva essere stato trafugato -, il «Non ci posso credere» si muta in «Ci credo».
La corsa di Giovanni e Pietro si compie grazie a Maria di Magdala, che non appare con i due discepoli, ma è proprio grazie a lei, donna sveglia, che loro due si sono svegliati. E non ci sorprende ritrovarla nel racconto di nuovo lì, «all’esterno, vicino al sepolcro», in lacrime. E Gesù le rende l’onore che merita, mostrandosi a lei prima che agli altri, chiamandola per nome e affidandole le parole da dire ai fratelli.
Ma soprattutto dobbiamo dire che Maria riconosce Gesù sentendosi chiamare per nome, e quando la sua voce la raggiunge può finalmente comunicare: «Ho visto il Signore»! E’ stata la prima a poterlo dire nella storia. Da lei è partita una successione di testimoni e di apostoli che è giunta fino a noi. Siamo tutti chiamati a inserirci in quella catena e a somigliarle quando ci sarà dato di affermare gioiosamente: «Io credo in Gesù, io credo nel Dio di Gesù Cristo, risorto dai morti».

La corsa dei due discepoli è un’immagine adatta a descrivere la nostra ricerca di Gesù, alla quale siamo continuamente chiamati. Così come la “sveglia”, messa in atto da Maria di Magdala verso i due discepoli, ci fa sperare di incontrare persone che ci conducano a fare esperienze di fede nelle quali riscontrare le parole del Prefazio pasquale, quando afferma che a Pasqua “rinascono a vita nuova i figli della luce” e “in lui risorto tutta la vita risorge”.
Pasqua infatti viene dopo “Passione e morte” che ci accompagnano sempre, ma sempre ci accompagna anch’essa. E ogni giorno può diventare quel “mattino di Pasqua”, esperienza che rende Maria di Magdala non solo assettata di verità ma anche di luce. Una luce che quando è cercata dall’amore – corro perché sono appassionato al “mio” Signore e desidero ascoltarlo e vederlo -, mi rendono testimone della sua risurrezione.
Tre giorni sono ammessi per il pianto. Non di più. Perché anche il buio va custodito e le tenebre hanno i loro tempi. Ma dopo abbiamo bisogno che qualcuno «in vesti sfolgoranti» ci dica che non esiste pietra che non possa essere spostata: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». La tenebra diviene luce, la morte non sarà la fine. Lui l’aveva detto, bisognava solo farne memoria.
Anche oggi, nessuna tomba e nessun buio, vissuti nella fede sono definitivi. La Pasqua, invece, è per sempre.

+ Antonello Mura